ARTICOLO BOLLETTINO SIBM
Adriana Giangrande1, Maria Cristina Gambi2
1 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali. Università del Salento, Lecce 2 Stazione Zoologica Anton Dohrn, Napoli
RITORNO AL PASSATO: RIVALUTAZIONE DELLA TASSONOMIA CLASSICA
Si può affermare che oggi sia l’era della biodiversità, uno degli indici utilizzati nel caratterizzare gli ambienti, così come nel monitoraggio ambientale. Conoscere la biodiversità ha anche un valore aggiunto, un valore etico, per le implicazioni circa la conservazione degli habitat. Però mai come oggi la scienza che tradizionalmente è alla base e studia la biodiversità, la tassonomia, vive una crisi globale molto forte, e mai come oggi siamo coscienti che non siamo in grado di dire quante specie esistono sul nostro pianeta. Fino a non molto tempo fa questo numero oscillava sui 2 milioni di specie conosciute, ma il reale numero era ben lontano dal poter essere individuato. Oggi, grazie anche al progetto del Census of Marine Life, che ha avuto luogo nel corso di dieci anni e che si è proposto di classificare e quantificare le diverse forme di vita marine, abbiamo portato questo numero a circa 9 milioni.
Come sottolineato da Mayr, nella identificazione di taxa specifici dovrebbero essere utilizzate informazioni di carattere morfologico, geografico, ecologico, comportamentale e molecolare. L’approccio morfologico è indubbiamente quello operativamente più semplice e immediato e quindi più utilizzato. In molti casi, tuttavia, la morfologia non rispecchia il grado di isolamento fra taxa, vedi complessi di specie criptiche. E’ però da sottolineare come l’approccio genetico-molecolare sia diventato negli ultimi anni quasi preponderante su quello morfologico, con uno scisma all’interno della ricerca tassonomica tra la branca classica “morfologica” e quella, considerata più innovativa, “molecolare”. I due approcci dovrebbero invece procedere in maniera parallela e coordinata. Prendiamo ad esempio in considerazione l’informazione genetica inserita in GenBank: siamo sicuri che le specie presenti siano state identificate correttamente? Non sono rari i casi in cui si è rilevato un mismatch tra i dati di sequenza e le specie di riferimento.
La biologia molecolare applicata alla sistematica ha (ed avrà) un impatto notevole sullo sviluppo delle conoscenze tassonomiche; ma senza la ricerca di base sulla morfologia degli organismi si rischia di far mancare quelle ipotesi filogenetiche di partenza, necessità imprescindibile per una corretta sistematica/filogenesi molecolare.
Bisogna comunque distinguere la tassonomia molecolare dal DNA-barcoding, la prima concerne la delimitazione delle specie utilizzando il concetto evolutivo, mentre il barcoding utilizza le similarità di alcune sequenze per caratterizzare entità già definite.
Una di noi tempo fa, comperando una confezione di ceci al supermercato, e guardando i prezzi che apparivano sulla cassa, mentre la commessa leggeva elettronicamente il barcoding del prodotto, notò che il prezzo dei ceci era esageratamente alto. Infatti l’etichetta era sbagliata. Ma noi comperiamo i prodotti, mica le etichette! E dietro l’etichettatura ci deve essere sempre qualcuno che conosca i prodotti per poterli ben etichettare.
La tassonomia classica è quindi una scienza basilare e, sottolineando la sua importanza anche nella scienza della conservazione, riportiamo di seguito un trafiletto scritto da un ricercatore dell’Australian Museum di Sydney, che rende bene l’idea:
“Beyond science, taxonomy has societal functions – I doubt the average man on the street appreciates beauty in “metabarcoded samples”. Taxonomists play a larger role in connecting science to people in a way that they can appreciate the value of biodiversity conservation, something to see and behold”. Per chi fosse interessato, al link del sito del museo http://australianmuseum.net.au/blogpost/amri-news/amri-marine-taxonomists-are-becoming-endangered, si possono trovare interessanti spunti sulla diatriba ad oggi esistente fra tassonomia classica e tassonomia molecolare e sul decremento dei tassonomi a livello mondiale: http://issuu.com/amsabulletin/docs/bulletin_dec_2014_forweb/16?e=6492809/11042994
Ora, ci è giunto all’orecchio che si vuole utilizzare il barcoding anche nel monitoraggio ambientale. Così ogni organismo avrà la sua etichetta e possiamo pure fare a meno di perdere tempo a identificarlo morfologicamente. Li catalogheremo direttamente senza saperli distinguere morfologicamente, così tutti i fondi, ancora una volta, andranno alle analsi molecolari, e noi che guardiamo alla morfologia e sappiamo riconoscere le specie, non serviremo più. Noi che ci siamo nutrite di tassonomia dagli albori della nostra carriera ci sentiamo molto avvilite ed anche un po’ indignate. Avvilite pur se estremamente consapevoli che l’approccio molecolare è un validissimo aiuto, ma non è questo il punto ed il problema. Avvilite perché, anche se ci rendiamo conto che sicuramente quello che chiamiamo “specie” è spesso un complesso di entità, e che la biodiversità sicuramente è molto più alta di quello che abbiamo stimato e immaginato valutando solamente la morfologia, non si vuole capire che molecolare e morfologico devono comunicare. Indignate perché la diversità morfologica è considerata una scienza di serie B, una perdita di tempo e perché chi fa tassonomia morfologica è ritenuto solo un “tecnico”. Indignate perché ci sembra che non si vuole più investire nella formazione di tassonomi e si lascia sempre tutto all’iniziativa personale, tanto la tassonomia classica non paga! E tutti i nuovi addetti saranno orientati verso un lavoro, comunque ripetitivo e routinario, che però è apparentemente più qualificante perchè utilizza tecniche molecolari che implicano l’uso di strumentazione high-tech, sono l’ultimo grido, il nuovo paradigma. A questo proposito però, pure nella nostra modesta esperienza, abbiamo verificato che anche solo nell’estrazione del DNA dalla stessa specie, protocolli multipli e diversi a volte NON funzionano e magari servono molti tentativi (e molto materiale…) per una buona estrazione, alla faccia dell’hard science!
Siamo consapevoli che l’identificazione degli organismi a livello di specie è uno dei maggiori limiti nel lavoro di monitoraggio ambientale, e che molto spesso non si è in grado con la sola morfologia di delimitare le entità “ecologiche”. Diciamo ecologiche perchè chi da indicazioni ecologiche è la specie. Tuttavia, e qui critichiamo anche la tassonomia classica, la maggior parte degli specialisti lavora in maniera distaccata dall’ecologia; molto spesso, infatti, ad una descrizione dettagliata dell’organismo non corrispondono adeguate informazioni sulle caratteristiche ambientali dove gli individui sono stati reperiti. Non bisogna sottovalutare chi è in grado di riconoscere le specie senza l’intervento della biologia molecolare, ma bisognerebbe che ci fosse anche un’incentivazione allo studio della biologia delle specie senza investire tutto e solo sul barcoding. La storia naturale, che tanto tempo fa era molto in voga e che ha portato alla nostra attuale conoscenza del mondo biologico, oggi non va più di moda, e nessuno viene incentivato a ricerche sulla biologia delle specie che ci può fornire informazioni sia a livello tassonomico sia a livello ecologico.
Ma torniamo al monitoraggio ambientale, è già tanto che si lavori sui cadaveri (per citare Ferdinando Boero), è grazie a chi lavora nel monitoraggio ambientale, a volte definito paratassonomo, che poi spesso diventa specialista, che in Italia esiste ancora qualcuno che si occupa di tassonomia. Quindi, grazie ai fondi per i monitoraggi ancora esiste qualche tassonomo in opera. La tassonomia però è un’altra cosa, ad esempio, da un campionamento ad hoc effettuato nel Golfo di Taranto, una zona apparentemente conosciutissima, stanno venendo fuori una quantità strabiliante di specie nuove. Però molto spesso si va di fretta, bisogna consegnare i risultati e le identificazioni vengono fatte un po’ superficialmente. Queste difficoltà hanno portato negli ultimi tempi anche a lavorare considerando gli organismi a livello di rango tassonomico superiore (taxonomic sufficiency). Recenti indagini, tuttavia, hanno dimostrato come lavorando in questo modo si perda molta informazione. Inoltre, i maggiori indici di valutazione ambientale sviluppati nell’ambito della Water Framework Directive e richiesti anche per la più recente Marine Strategy, utilizzano, di fatto, le specie. Ma i ricercatori che si occupano dell’identificazione delle specie nell’ambito del monitoraggio ambientale, molto spesso non ricevono un’adeguata preparazione di base e come conseguenza vanno incontro ad erronee identificazioni e segnalazioni che risultano in una serie di problemi nel confronto sia spaziale sia temporale dei dati, liste di specie in primis, spesso usate in modo assolutamente acritico, nella formulazione degli indici e quindi in ultima analisi nella valutazione dello stato ambientale dei siti di studio. Si aggiunge ad oggi il problema della corretta individuazione di specie aliene, che attualmente viene considerato una delle maggiori sorgenti di rischio ambientale (inquinamento biologico).
Quello che ci preme sottolineare è che quando si arriva all’identificazione a livello specifico la maggior parte del lavoro è stato fatto (campionamento, smistamento), se si avessero specialisti a sufficienza e/o supporti didattici adeguati, arrivati a quel punto non ci vorrebbe molto sforzo per avere il massimo dell’informazione dai campioni. Ricorderemo sempre quanto ci diceva Eugenio Fresi quando guardando i modelli statistici multivariati ci chiedevamo spiegazioni su pattern ecologici ecc., lui rispondeva ”guardate sempre la matrice originale dei dati specie/stazioni, il 100% dell’informazione è lì!”
Ma la tassonomia è una scienza difficile, per affrontare la quale bisogna anche essere portati (come per suonare bene uno strumento musicale!), non tutti riescono a cogliere le sottili differenze morfologiche (un po’ come non tutti hanno…orecchio musicale!). La tassonomia classica è però particolarmente trascurata a livello di fondi dedicati alla ricerca e chi se ne occupa è lasciato all’iniziativa personale. Tuttavia, non si può improvvisare, né trattare con superficialità il materiale; spesso mancano gli specialisti che potrebbero guidare al meglio i neofiti. Manca, inoltre, adeguato materiale di supporto, poiché le chiavi esistenti sono obsolete e generano errori grossolani. Inoltre, oggi sbagliare è molto facile, anche se internet ci fornisce facilmente e velocemente un’enorme quantità di informazioni che possono facilitare enormemente il lavoro, queste ultime dovrebbero essere adeguatamente selezionate.
Noi, come molti lettori sapranno, siamo specialiste di anellidi policheti che sono uno dei gruppi più rappresentati nelle comunità bentoniche di quasi tutti gli habitat marini. L’identificazione delle specie nell’ambito di questo gruppo rappresenta però, purtroppo, uno degli ostacoli maggiori nel monitoraggio. Ciò è dovuto principalmente all’esiguità di strutture indeformabili sulle quali basare la classificazione e al fatto che, essendo animali a corpo molle, molto spesso non vengono campionati integri. Inoltre, la diversificazione dei policheti è tale che oggi è necessario, per essere uno specialista di buon livello, specializzarsi su poche famiglie, possibilmente affini. In Italia non esiste nemmeno un museo di storia naturale ben organizzato che curi i tipi di questi organismi, tanto meno collezioni di riferimento. Nel 1985 alcuni studiosi italiani hanno costituito all’interno della S.I.B.M un gruppo di studio sui policheti, il GPI, Gruppo Polichetologico Italiano. A tale iniziativa hanno aderito la maggior parte degli specialisti italiani dei policheti nonché molti ecologi che, pur non interessati specificatamente alla sistematica, lavoravano in differenti campi che coinvolgevano, comunque, i policheti. Il GPI, che era arrivato a ben 24 membri, si proponeva di redigere una lista sinonimica ragionata delle specie delle coste italiane corredata possibilmente da chiavi originali e da un glossario. Ci si proponeva, inoltre, di realizzare una collezione di riferimento e di approntare una “banca dati” per accogliere schede bioecologiche e dati distributivi relativi alle singole specie. Tale materiale doveva rappresentare una base per la realizzazione della “Fauna d’Italia”.
Tra le iniziative ad oggi portate a termine si collocano la realizzazione di un archivio bibliografico comprendente i lavori pubblicati dai componenti del gruppo di lavoro, la realizzazione della checklist delle specie della fauna italiana degli anellidi e quella delle liste ragionate relativamente ad alcune famiglie. Quest’ultimo lavoro è rimasto incompleto soprattutto perché non sono stati trovati fondi per la sua realizzazione, anche i vari progetti presentati, tra cui gli allora PRIN, sono stati bocciati, forse perché non c’era la parola chiave “molecolare”, e molti dei fondatori del GPI ad oggi non si occupano nemmeno più di policheti.
Dalla pubblicazione della prima check list delle specie italiane che risale al 1995, l’attività del GPI è risultata via via sempre meno intensa, e ciò soprattutto, ancora una volta, in base alla mancanza di finanziamenti indirizzati a tali attività che ha portato a devolvere la maggior parte delle energie in altri campi, ragion per cui i componenti del GPI hanno praticamente smesso di riunirsi regolarmente. E’ anche vero che la tendenza, tutta Italiana, di non fare mai massa critica e sinergia, ha anche giocato in parte un ruolo. Una seconda versione della check-list è stata approntata nel 2005, aggiornata poi nel 2009. Ci si era riproposto un aggiornamento annuale, anche tenendo in considerazione del lavoro parallelo di alcuni membri del GPI riguardo all’introduzione di specie aliene in Mediterraneo e quindi lungo le coste italiane.
Con l’avvento di internet ci siamo riproposti di far rivivere questa iniziativa proprio attraverso la realizzazione di un sito che potesse mantenere facilmente in contatto tra loro i componenti, rendendo anche partecipe l’intera comunità scientifica del lavoro svolto in Italia in campo polichetologico. Ma anche questa iniziativa ha avuto poco successo e vita breve!
Noi oggi non sappiamo chi identifica questo gruppo nell’ambito dei monitoraggi ambientali nazionali, conosciamo pochi nomi, si tratta di persone che, probabilmente come noi ai nostri tempi, non hanno avuto un training specifico. Rileviamo invece, con un certo rammarico, che addirittura anche che chi trova specie rare, aliene, o interessanti nel territorio nazionale, spesso si rivolge a colleghi stranieri pur avendo pochi (ma buoni) specialisti nazionali ancora attivi. Vedete un po’ se un collega, anche solo Spagnolo, inviasse mai del materiale raccolto in Spagna a qualche specialista Italiano, se non prima di aver contattato i propri connazionali! ma questo della “svendita” scientifica di expertise e conoscenze del nostro patrimonio naturale è un problema etico che ci porterebbe troppo lontano.
Un tempo il Mediterraneo era una delle zone più conosciute che vantava una tradizione tassonomica ineguagliabile (le monografie di Anton Dohrn sul Golfo di Napoli ne sono solo l’esempio più antico e prestigioso), oggi soprattutto noi Italiani ci siamo un po’ persi da questo punto di vista soprattutto per le ragioni sopra elencate.Attualmente, in Europa del Nord esiste sicuramente una tradizione sulla conservazione e conoscenza degli invertebrati marini che dimostra una sensibilità, organizzazione ed importanza maggiore di quanto accade in ambito Mediterraneo. Questo soprattutto per l’esistenza di molte compagnie private che curano i monitoraggi ambientali e di conseguenza la preparazione del personale. Per questa ragione da anni realizzano corsi mirati a questo proposito, invitando specialisti che operano anche in campo Mediterraneo, tra cui anche noi. Reduci da alcune di queste esperienze in ambito extramediterraneo, alle quali siamo state invitate come specialiste di sabellidi ed eunicidi (MESL Taxonomic course. Marine Biological Laboratory of Plymouth UK (Bath); BEQUALM/NMBAQC Scheme Taxonomic Workshop at the Dove Marine Laboratory, Cullercoats (UK) APEM Limited Diamond Centre), ci è venuta l’idea di realizzare un corso simile sulla tassonomia dei policheti anche in Italia.
Due anni fa, proprio al congresso “di mezzo” della SIBM, avevamo proposto nell’ambito della Marine Strategy corsi di tassonomia rivolti al personale addetto ai monitoraggi. In questo caso i corsi sarebbero stati gratuiti e svolti con i fondi già devoluti al monitoraggio, ma sembra che questa proposta non sia stata giudicata importante, o forse i fondi già erano stati impegnati per altri scopi. Allora ci siamo attivate personalmente, ma i corsi dovranno essere chiaramente a pagamento e questo può limitare il numero e tipo di persone che vi possano partecipare (selezionate in base alla disponibilità finanziaria).
Ed ora dobbiamo fare un po’ di pubblicità. Abbiamo organizzato un corso sulla tassonomia dei policheti a Lecce, nella sede dove opera una di noi (A.G.), DiSTeBA Università del Salento. Al corso interverranno anche Alberto Castelli da Pisa (uno dei soci fondatori e più attivi tra i polichetologi italiani) e Maria Flavia Gravina da Roma (Tor Vergata). Durante il corso verranno forniti supporti didattici sotto forma di guide con relative chiavi dicotomiche revisionate e materiale di riferimento (Il laboratorio di Zoologia dell’Università del Salento possiede una collezione di riferimento di anellidi policheti con circa 600 specie). Le guide realizzate sono relative soprattutto alle famiglie che negli ultimi 30 anni sono state profondamente revisionate e la cui sistematica è notevolmente cambiata.
Il corso quindi si svolgerà presso l’Università del Salento (Lecce). L’attività sarà coadiuvata dal personale facente parte del gruppo di lavoro del Laboratorio di Sistematica di Lecce coordinato da A. Giangrande e si svolgerà presso un nuovo laboratorio completamente attrezzato e perfettamente adeguato per questo scopo. Esso comprenderà una serie di seminari frontali riguardanti le famiglie più problematiche, ma soprattutto verterà sugli aspetti pratici, con visione di materiale più o meno problematico che i partecipanti porteranno con se, sia su materiale esemplificativo che verrà fornito dagli organizzatori.
Il corso è rivolto principalmente a persone che abbiano già una certa dimestichezza nell’identificazione dei policheti (anche per alcune famiglie specifiche), ed è stato programmato proprio per facilitare la comunicazione tra specialisti e studenti/tecnici, in cui i partecipanti si confronteranno fra di loro e sotto la guida di esperti nel settore, nell’identificazione del proprio materiale.I partecipanti avranno, inoltre, la possibilità di visionare e confrontare il materiale presente nella collezione messa a disposizione. Questa procedura dovrebbe produrre un sistema di unificazione nell’identificazione delle specie, che vada al di là della valutazione soggettiva dei caratteri utili all’identificazione.
Tutte le informazioni di dettaglio sono reperibili sul sito www.corsoditassonomia.it
Abbiamo già raggiunto un notevole numero di iscrizioni e abbiamo ancora pochi posti disponibili.
Vi preannunciamo l’inizio di una serie di iniziative simili anche su altri gruppi tassonomici, con lo stesso spirito di servizio che ha animato la nostra proposta nei confronti della comunità scientifica marina Italiana.